Ecco i 3 comportamenti sui social che gridano “Ho bisogno di validazione”, secondo la psicologia

3 Comportamenti sui Social che Gridano “Ho Bisogno di Validazione” (E la Scienza lo Conferma)

Diciamoci la verità: quanti di noi hanno mai pubblicato una foto su Instagram e poi passato i successivi venti minuti a ricaricare la pagina come ossessi per vedere quanti like stavano arrivando? O peggio ancora, quanti hanno cancellato un post perfettamente innocente perché dopo un’ora aveva ricevuto solo dodici like invece dei soliti cinquanta?

Se ti stai già sentendo chiamato in causa, respira. Non sei solo, e soprattutto non sei pazzo. Quello che stai sperimentando è un fenomeno che gli psicologi stanno studiando da anni, e che ha un nome preciso: autostima contingente. In parole povere, significa che il tuo senso di valore personale dipende da quanto gli altri ti approvano, piuttosto che da come tu ti percepisci internamente.

La cosa interessante è che i ricercatori hanno identificato pattern comportamentali specifici sui social network che funzionano come veri e propri campanelli d’allarme. Non stiamo parlando di diagnosi mediche o etichette da appioppare a chiunque passi più di dieci minuti su TikTok, ma di segnali che potrebbero indicare che il tuo rapporto con te stesso ha bisogno di un piccolo check-up.

Uno studio longitudinale condotto da Steinsbekk e colleghi nel 2020 ha seguito centinaia di adolescenti per diversi anni, scoprendo che l’uso problematico dei social media prediceva una diminuzione dell’autostima nel tempo, specialmente quando questa autostima dipendeva fortemente dal feedback degli altri. Il dato interessante? Non era tanto il tempo passato sui social a fare la differenza, quanto il motivo per cui le persone li usavano.

Comportamento Numero Uno: Il Vampiro Emotivo che Vive di Like

Il primo comportamento che fa suonare l’allarme rosso negli uffici degli psicologi è quello che potremmo definire “la sindrome del vampiro emotivo digitale”. Hai presente Dracula che ha bisogno di sangue per sopravvivere? Ecco, sostituisci il sangue con i like e hai il quadro completo.

Questo pattern comportamentale si manifesta con una fame insaziabile di conferme esterne attraverso ogni metrica disponibile: like, commenti, condivisioni, visualizzazioni, reazioni. La persona pubblica contenuti in continuazione, controlla il telefono ogni tre minuti per verificare le reazioni, prova ansia genuina quando un post non riceve l’attenzione sperata, e addirittura modifica o cancella contenuti che non “performano” secondo le aspettative.

La ricerca di Forest e Wood pubblicata nel 2012 ha documentato un fenomeno affascinante e un po’ triste: le persone con bassa autostima che pubblicano frequentemente sui social nella speranza di ricevere supporto emotivo raramente ottengono il beneficio sperato. È come bere acqua salata quando hai sete: più bevi, più hai bisogno di bere, ma non ti disseti mai davvero.

Il problema non è volere un po’ di approvazione sociale. Gli esseri umani sono animali sociali, e desiderare il riconoscimento del proprio gruppo è perfettamente normale e sano. Il campanello d’allarme suona quando quella conferma esterna diventa l’unica fonte da cui attingi il tuo senso di valore. Quando la domanda “valgo qualcosa?” trova risposta esclusivamente nel numero di cuoricini rossi sotto una foto, siamo di fronte a un segnale che merita attenzione.

Pensa a questo comportamento come a un’altalena emotiva impazzita: ogni notifica ti spinge verso l’alto, ogni momento di silenzio digitale ti fa precipitare verso il basso. Non è semplicemente “essere attivi sui social”, è una dipendenza psicologica dalla gratificazione immediata che questi strumenti forniscono. E la cosa più insidiosa? Gli algoritmi dei social network sono stati progettati proprio per sfruttare questo meccanismo, rendendo il ciclo ancora più difficile da spezzare.

Come Riconoscere se Sei nel Ciclo

Facciamo un piccolo test di realtà. Ti ritrovi a controllare le notifiche mentre sei in bagno? Provi un senso di panico quando un post che hai appena pubblicato non riceve reazioni nei primi cinque minuti? Hai mai passato una serata storta perché una foto che ti piaceva molto ha ricevuto meno engagement del solito? Se hai risposto sì ad almeno due di queste domande, potresti essere nel ciclo del vampiro emotivo.

La buona notizia è che riconoscere il pattern è già metà della battaglia. Una volta che diventi consapevole del meccanismo, puoi iniziare a chiederti perché stai pubblicando qualcosa: lo fai perché ti rende genuinamente felice condividerlo, o perché hai bisogno della conferma degli altri per sentirti okay?

Comportamento Numero Due: La Spirale del Confronto Tossico

Il secondo comportamento identificato dalla ricerca psicologica è quello che gli esperti chiamano confronto sociale compulsivo, ma che noi comuni mortali possiamo tranquillamente chiamare “scrollare Instagram fino a sentirsi una schifezza totale”.

La teoria del confronto sociale non è una novità: lo psicologo Leon Festinger l’ha formulata già nel 1954, osservando che gli esseri umani hanno una tendenza naturale a valutare se stessi guardando gli altri. Il problema è che i social media hanno preso questo meccanismo perfettamente normale e l’hanno trasformato in un mostro a sette teste con un megafono.

Una meta-analisi pubblicata da McLean e colleghi nel 2019 ha esaminato decine di studi scientifici arrivando a una conclusione piuttosto deprimente: il confronto sociale sui social network predice in modo significativo una diminuzione dell’autostima nel tempo, specialmente per quanto riguarda l’aspetto fisico e i risultati personali.

Ma perché accade questo? Semplice: sui social vediamo una versione curata, filtrata, photoshoppata e completamente irrealistica della vita degli altri. È come se tutti vivessero in un trailer cinematografico permanente, dove ogni momento è epico, ogni outfit è perfetto, ogni vacanza è da sogno, ogni relazione è perfetta. Il problema è che poi confronti questo trailer con il dietro le quinte della tua vita reale, con i momenti noiosi, i giorni in pigiama, le insicurezze e le imperfezioni.

Gli studi di Yau e Reich del 2019 hanno dimostrato che questo tipo di confronto non è neutro: tende sistematicamente verso l’alto, nel senso che ci paragoniamo sempre a persone che percepiamo come migliori di noi. E indovina un po’? Più ci sentiamo inadeguati, più cerchiamo validazione esterna pubblicando contenuti che mostrino quanto siamo felici, belli e di successo. Un perfetto circolo vizioso che sarebbe divertente se non fosse così dannoso.

Il Lato Oscuro dello Scrolling

Il confronto sociale diventa particolarmente tossico quando è costante e sistematico. Scrollare per ore confrontando il proprio corpo con quello di influencer ritoccati fino all’inverosimile, misurare il proprio successo professionale guardando i post celebrativi selezionati dei contatti su LinkedIn, valutare la propria vita sentimentale attraverso le foto di coppia perfette che invadono Facebook: tutto questo non è semplicemente “guardare i social”, è un vero e proprio autolesionismo digitale.

Il segnale d’allarme non è il confronto occasionale, che ripeto è umano e normale. Il problema sorge quando provi quella sensazione persistente di inadeguatezza dopo ogni sessione di scrolling, quando quella vocina interiore continua a sussurrare “non sei abbastanza” ogni volta che vedi le vite apparentemente perfette degli altri. Quando chiudi l’app sentendoti peggio di quando l’hai aperta, è il momento di fare un passo indietro e chiederti cosa sta succedendo.

La ricerca scientifica ha dimostrato che questa dinamica è particolarmente forte negli adolescenti e nei giovani adulti, le fasce d’età in cui il cervello è ancora in via di sviluppo e più sensibile al feedback sociale. Ma non pensare di essere al sicuro solo perché hai superato i venticinque anni: nessuno è immune al fascino tossico del confronto sociale digitale.

Comportamento Numero Tre: Andare a Pesca di Complimenti Come se Non Ci Fosse un Domani

Il terzo comportamento è forse il più sottile ma anche il più rivelatore: quello che in inglese chiamano “fishing for compliments”, letteralmente andare a pesca di complimenti. E fidati, gli psicologi hanno sviluppato un radar finissimo per riconoscerlo.

Quale di questi comportamenti ti è più familiare sui social?
Controllare ossessivamente i like
Cancellare post poco performanti
Confrontarmi con chi seguo
Fingere disinteresse sperando in complimenti

Questo pattern si manifesta in modi diversi ma tutti riconoscibilissimi: pubblicare selfie con didascalie autodenigratorie tipo “Che orrore, mi vedo malissimo oggi”, condividere successi minimizzandoli immediatamente con un “È solo una piccola cosa, non è niente di speciale”, postare foto chiedendo esplicitamente opinioni sull’aspetto fisico, pubblicare stati vagamente melodrammatici che invitano alla consolazione o al supporto.

La ricerca di Forest e Wood del 2012 ha documentato come questo comportamento sia particolarmente frequente nelle persone con bassa autostima e rappresenti un tentativo paradossale di ottenere conferme. Paradossale perché? Perché anche quando arrivano i complimenti sperati, questi raramente hanno l’effetto desiderato. Chi ha una bassa autostima tende a non credere ai feedback positivi ricevuti o a minimizzarli, perpetuando così il ciclo di insicurezza.

È come avere un secchio bucato: per quanto gli altri versino dentro complimenti e rassicurazioni, questi scivolano via senza riempire il vuoto emotivo sottostante. Il problema non è la quantità di validazione esterna ricevuta, ma l’incapacità di interiorizzarla e farla propria. Puoi ricevere cento commenti che ti dicono quanto sei bello, intelligente o di successo, ma se dentro di te non ci credi, quei commenti non fanno differenza.

Questo comportamento rivela anche quello che lo psicologo Mark Leary ha definito “paura del rifiuto sociale”: il terrore di non essere accettati, apprezzati o considerati abbastanza validi dal gruppo sociale. Sui social, questa paura si amplifica perché il giudizio è pubblico, quantificabile e permanente. Non è solo una persona che ti dice che non gli piaci, sono zero like su una foto che hai pubblicato e che tutti possono vedere.

Il segnale preoccupante non è chiedere occasionalmente un’opinione o un feedback, che è perfettamente normale. Il problema sorge quando questo diventa un copione ripetitivo, quando ogni interazione digitale diventa un’opportunità per cercare rassicurazioni sul proprio valore. Quando i social smettono di essere uno spazio di condivisione autentica e diventano un palcoscenico dove recitare la parte della persona insicura in cerca di applausi, è il momento di fermarsi e riflettere.

La Relazione Bidirezionale tra Social Media e Autostima

Prima di continuare, facciamo una precisazione importante: manifestare uno o anche tutti questi comportamenti non significa automaticamente avere una bassa autostima patologica o essere “sbagliati” in qualche modo. Stiamo parlando di segnali di rischio, non di diagnosi cliniche che puoi fare da solo leggendo un articolo su internet.

La verità è che i social network sono stati progettati per sfruttare alcuni dei meccanismi psicologici più profondi del cervello umano: il bisogno di appartenenza sociale, la ricerca di approvazione, il confronto con i pari. Tutto questo è perfettamente normale e umano. Il problema sorge quando questi meccanismi vengono sovrastimolati fino a diventare disfunzionali.

La ricerca scientifica ha dimostrato che la relazione tra uso dei social media e autostima è bidirezionale: non è solo che le persone con bassa autostima usano i social in modo problematico, ma anche che un uso problematico dei social può abbassare l’autostima nel tempo. È un po’ come il dilemma dell’uovo e della gallina, ma con conseguenze reali sulla salute mentale. Uno studio di Primack e colleghi del 2017 ha trovato correlazioni significative tra uso intenso dei social media e aumento della solitudine percepita. C’è qualcosa di profondamente ironico nel fatto che strumenti creati per “connettere le persone” finiscano spesso per aumentare il senso di isolamento e inadeguatezza.

Cosa Fare se Ti Riconosci in Questi Comportamenti

Se leggendo questo articolo hai pensato “cavolo, questo sono proprio io”, sappi che non sei condannato a rimanere intrappolato in questi pattern. Il primo passo per cambiare qualsiasi comportamento è riconoscerlo, e se sei arrivato fin qui hai già fatto metà del lavoro.

L’autostima non è un tratto immutabile della personalità con cui nasci e che ti porti dietro per sempre come il colore degli occhi. Si può lavorare su di essa, svilupparla, rafforzarla. Certo, non è un processo che avviene dall’oggi al domani come per magia, ma è assolutamente possibile costruire una relazione più sana con se stessi e, di conseguenza, con i social network.

Alcuni psicologi suggeriscono di iniziare con piccoli esperimenti comportamentali:

  • Prova a pubblicare qualcosa senza controllare le reazioni per qualche ora
  • Disattiva le notifiche per vedere come ti senti
  • Fai pause regolari dai social
  • Usa app che monitorano il tempo di utilizzo

Non si tratta di demonizzare i social media o di cancellarsi completamente dalla faccia della terra digitale, ma di ristabilire un rapporto più equilibrato e consapevole.

Un altro aspetto cruciale è lavorare sulla costruzione di quella che gli psicologi chiamano “autostima incondizionata”: un senso di valore personale basato su chi sei come persona, non su cosa fai o su come gli altri ti percepiscono. Significa imparare a riconoscere il proprio valore indipendentemente dai like, dai commenti o dall’approvazione altrui.

Può essere utile chiedersi: cosa mi dà veramente valore come persona? Quali sono le mie qualità che apprezzo indipendentemente da quello che pensano gli altri? Quali successi personali mi rendono orgoglioso anche se nessuno li vede? Queste domande possono sembrare banali o da libro di auto-aiuto scrauso, ma aiutano davvero a spostare il focus dall’esterno all’interno.

I Social Sono Solo Strumenti, il Problema È Come Li Usiamo

Alla fine della fiera, i social network sono solo strumenti. Come tutti gli strumenti, possono essere usati in modi che ci arricchiscono oppure in modi che ci impoveriscono. Un martello può costruire una casa o spaccare un dito, dipende da come lo usi.

I comportamenti che abbiamo analizzato non sono segni di debolezza o difetti caratteriali imperdonabili. Sono semplicemente segnali che qualcosa nel nostro rapporto con noi stessi e con il mondo digitale potrebbe aver bisogno di un piccolo aggiustamento. Riconoscerli è già un atto di coraggio e autoconsapevolezza che ti mette avanti rispetto a milioni di persone che continuano a scrollare in modalità pilota automatico.

La verità è che dietro ogni like cercato disperatamente, dietro ogni confronto doloroso, dietro ogni complimento pescato con l’amo c’è semplicemente un bisogno umano universale: quello di sentirsi visti, apprezzati, abbastanza. E questo bisogno è legittimo e comprensibile. Il punto è trovare modi più sani e sostenibili per soddisfarlo, modi che non dipendano da algoritmi, metriche di engagement o versioni filtrate della realtà.

La scelta, per quanto influenzata da mille fattori esterni e da piattaforme progettate da ingegneri pagati profumatamente per tenerti incollato allo schermo, rimane in ultima analisi tua. E riconoscere quando un comportamento ci sta facendo più male che bene è il primo passo per riappropriarsi di quella scelta. Quindi, la prossima volta che ti ritrovi con il telefono in mano a controllare per la quarantesima volta quanti like ha ricevuto il tuo ultimo post, fermati un attimo. Respira. E chiediti: sto cercando validazione o sto semplicemente condividendo qualcosa che mi rende felice? La differenza tra queste due cose è sottile ma fondamentale, e potrebbe essere esattamente ciò che serve per iniziare a costruire un rapporto più sano con te stesso e con il mondo digitale che ti circonda.

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